Lo sapete che Libri belli è anche su Facebook? Dai che di questi tempi un Mi Piace non si nega proprio a nessuno.
Io sono Matteo Belluti e questa newsletter è prodotta in collaborazione con la Libreria Fogola di Ancona.
Vi ricordate i tempi in cui il pollice alto non era il simbolo di Facebook ma dell’Autostop? Bene, oggi incontriamo un professionista dei passaggi scroccati, un esteta dell’incontro fortuito, un magnifico scrittore: Daniele Mencarelli.
BIO
Romano, classe 74, da diversi anni stanziato ad Ariccia, ha debuttato nella poesia nell’ormai lontano 1997 e solo dopo circa vent’anni e tante raccolte pubblicate con case editrici medie e piccole, ha dato alle stampe il suo primo romanzo “La casa degli sguardi” che ha aperto la sua trilogia autobiografica all’incontrario.
In quel libro infatti era narrata la storia vera della sua dipendenza dall’alcol e del suo confronto con il dolore quotidiano come operatore dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Molti premi, tra cui il Premio Volponi e il Premio John Fante opera prima.
Successo replicato due anni dopo con “Tutto chiede salvezza”, il resoconto della sua esperienza in un ospedale psichiatrico dopo un Tso. Questo romanzo gli è valso la cinquina dello Strega e la vittoria dello Strega giovani 2020.
Da un paio di mesi è uscito il terzo elemento della trilogia, “Sempre tornare”, e stavolta al centro della scena c’è un viaggio in autostop dalla Romagna a Roma, che è davvero un’educazione all’incontro e alla conoscenza dell’altro.
Una trilogia all’incontrario, dicevo, perchè i fatti narrati nei tre libri corrono a ritroso nel tempo. Nel primo il protagonista ha 30 anni, in quest’ultimo è un diciassettenne.
Ora dovete sapere che “Tutto chiede salvezza” diventerà molto presto una serie Tv su Netflix, per la regia di Francesco Bruni. Il ruolo di protagonista è affidato a Federico Cesari, avete presente?
“Sempre tornare” è stato invece opzionato da Paolo Genovese per il cinema.
E allora, detto che la colonna sonora scelta da Daniele per questa intervista è Under Pressure dei Queen, nella versione con David Bowie,
direi che possiamo cominciare.
Ciao Daniele, leggendo Sempre tornare si intuisce che sei un profondo conoscitore e appassionato di Autostop. E’ così?
«Ho vissuto d’autostop. Vengo da una famiglia in cui i motorini erano visti con terrore, terrore che per altro ho ereditato. Ho sempre vissuto nei castelli che circondano Roma e in provincia se non hai un mezzo proprio sei tagliato fuori. L’autostop mi ha permesso di accorciare le distanze e inoltre mi ha fatto conoscere un sacco di persone. Ad esempio uno degli amici di cui parlo all’inizio del mio ultimo libro, l’ho conosciuto da ragazzo, chiedendogli un passaggio alle 5 di mattina dopo una serata alcolica».
Ti capita ancora oggi di farlo?
«Fino a un po’ di tempo fa mi capitava. Ora mi rendo conto che non è più fattibile. La gente ti guarda come un alieno, una paura illogica si è impossessata di noi. Dati alla mano, il mondo negli anni 80 e 90 era molto più pericoloso di adesso, eppure ci si fidava un po’ di più dell’altro. La stessa cosa con i motorini: dati oggettivi dicono che si muore di più per gli incidenti con le due ruote, eppure qualsiasi genitore preferirebbe regalare un motorino al figlio o una macchina a 18 anni e un giorno, piuttosto che saperlo sui bordi delle strade a fare autostop. Un paradosso a cui purtroppo non sfuggo neppure io, ora che ho un figlio di 15 anni».
Il tuo primo libro era dedicato ai lottatori, il secondo ai lottatori e ai pazzi, il terzo a lottatori, pazzi e sconosciuti.
«Come ti dicevo, si è persa la dimensione dell’incontro. Uno sconosciuto non è per forza uno che ti vuole fare del male. Eppure oggi si parte da questo presupposto e la diffidenza regna. Invece gli incontri più belli sono quelli casuali, che a volte deludono, a volte cambiano la vita».
Le storie che narri nei tuoi romanzi sono dichiaratamente autobiografiche, il che nel tuo caso è una scelta forte perchè si parla di dipendenze e problemi psichiatrici.
«Il fatto che siano storie vere secondo me sta in secondo piano. La materia biografica, al pari delle storie inventate, passa attraverso il filtro della scrittura e diventa letteratura. Conta solo quello, il resto è marginale».
Come vivi la tua condizione di scrittore?
«Un mestiere che più di altri è a rischio solitudine. E purtroppo conosco tanti scrittori chiusi in sé stessi, nella propria bolla, che rifiutano il contatto diretto. Io continuo a prediligere l’incontro, se posso accetto ogni invito, ogni occasione, sarà che nella mia gavetta ho conosciuto l’amarezza delle mancate risposte».
Cosa molto atipica, non sei presente sui social…
«Chi ha avuto problemi di dipendenze come me, meglio stia alla larga da cose a rischio. Il problema non è dello strumento in sé, sia chiaro, il problema sono io. Mi conosco e mi tutelo».
Se dovessi scegliere tra poesia e prosa cosa sceglieresti?
«Il procedimento è lo stesso, si parte dall’osservazione della realtà per mettere in scena una storia. La poesia è una scena alla volta, la narrativa è un’architettura di scene. Certo, la gioia che mi dà la poesia è molto potente»
Come sei arrivato a pubblicare il tuo primo romanzo con Mondadori?
«Ho vissuto i miei esordi poetici in parallelo con quello che poi è diventato il responsabile della narrativa italiana per Mondadori, Carlo Carabba. Ha letto la mia storia, gli è piaciuta, ci ha creduto. Vedi la potenza degli incontri? Quello per me è stato decisivo. Se non hai alle spalle una famiglia introdotta in un determinato ambiente, devi imparare a creare le condizioni perchè le cose succedano. Dico sempre questo ai giovani che incontro alle presentazioni dei miei libri. Cercate i vostri maestri, andateli a trovare, stanateli. Vi capiterà di restare delusi, ma anche di connettervi al mondo che volete frequentare. Prendi il mio primo romanzo. Non stava andando granché bene, finchè non ho incontrato un libraio dell’Eur che ha creduto in quella storia e ha cominciato a farla girare tra i suoi contatti. Da lì si è messo in moto un meccanismo che ha cambiato il destino del libro e probabilmente il mio».
La tua scrittura sa anche di ricerca spirituale.
«Sono un aspirante credente e sì, la scrittura mi permette di approfondire questo discorso. Oggi il tema della ricerca spirituale è quasi demodé, come fosse una questione risolta. Per me no, io rivendico l’urgenza di fare questo viaggio, anche se per il momento, nel mio caso, non è giunto ad alcun approdo».
Siamo ai tuoi libri belli belli belli belli in modo assurdo. A te chiediamo di consigliarci:
Un libro di poesia per neofiti?
«Camillo Sbarbaro, Pianissimo. Tutti i grandi del Novecento, da Montale in avanti, sono in debito con questo autore»
Un romanzo di viaggio?
«Cuore di tenebra e ogni altro libro di Joseph Conrad. Uno che ha viaggiato davvero, che ha fatto della vita una grande avventura. E a proposito di ricerca di Dio, Kurtz lo trova in sé stesso».
Il libro che ti ha fatto innamorare dei libri?
«Se questo è un uomo di Primo Levi. Merito di un insegnante delle scuole medie che me lo fece leggere. Ero un teppistello, grazie a quel prof ho scoperto la bellezza dei libri e della scrittura».
Il libro più bello che hai letto quest’anno?
«Andrea Donaera, Lei che non tocca mai terra, NN Editore. Consigliato di cuore».
Grazie Daniele, evviva gli incontri casuali che cambiano la vita.
Al prossimo tratto di strada insieme, ciao.