Il racconto è un genere letterario minore?
La risposta naturale è NO, anche se tradizionalmente in Italia un certo complesso di inferiorità della narrativa breve nei confronti dei romanzi esiste eccome.
E noi oggi partiamo proprio da un bel libro di racconti “Un uomo a pezzi” (Fazi 2020) per una chiacchierata con lo scrittore umoristico Francesco Muzzopappa.
Un uomo a pezzi è un libro di frammenti spassosi attraverso i quali Muzzopappa ripercorre la sua infanzia in Puglia, il rito della conserva di pomodoro fatta in casa, poi il trasferimento a Milano, il traumatico passaggio dal barbiere di giù agli hair stylist della metropoli, il quartiere di Chinatown, e poi i dialoghi surreali con le operatrici di call center, le scene di vita quotidiana con la fantastica Carmen e tanto altro ancora. Tutti episodi che in qualche modo ci sono familiari e che sotto lo sguardo arguto di Muzzopappa diventano irresistibili.
Detto che io sono Matteo Belluti e che questa è la newsletter targata Libreria Fogola di Ancona, che vi arriva gratuitamente per mail ogni due giovedì perchè siete delle belle persone.
Detto che la colonna sonora dell’intervista di oggi la trovate qui:
Detto tutto questo, possiamo cominciare.
Ciao Francesco, visto che nasci come copywriter e pubblicitario, presentati con 3 aggettivi.
«Infaticabile. Stanchissimo. Pazzo».
Perfetto, veniamo al tuo libro “Un uomo a pezzi”. La dimensione del racconto è molto congeniale alla scrittura comica, tanto che ad esempio negli States quasi tutti i giganti della comicità si esprimono spesso e volentieri tramite la forma breve. In Italia invece si dice sempre che i racconti non vendono, non vanno bene, sono un genere minore. Secondo te è vera questa cosa? Come ha reagito la tua casa editrice quando hai proposto la raccolta di racconti? Pensi di volerlo rifare?
«In parte è vero. Però il mercato estero fa scuola a sé. Non lo reputo un genere minore, anzi. Per certi versi scrivere racconti è molto più complicato che lavorare su un romanzo che ti dà più tempo per sviluppare una storia e spazio per l’evoluzione dei personaggi. Nel mio caso ho avuto la fortuna di uscire con “Muzzopappa a Pezzi” prima in format podcast su Storytel, che da sempre traduce in audiolibri i miei lavori. Il progetto è andato bene e ci siamo decisi a farne anche un progetto editoriale variando di poco il titolo. Anche quest’anno ho realizzato per Storytel un progetto simile chiamato Figurine. E magari in futuro, chissà...».
Grande protagonista di Un uomo a pezzi è Carmen, personaggio esilarante, scritto benissimo, anche perché esiste veramente ed è la tua compagna da 9 anni. Lavora anche lei nel campo dei libri, è una libraia. Una curiosità: legge in anteprima le tue cose? Com’è come “critica letteraria” nei tuoi confronti?
«Carmen legge tutto quel che scrivo con pazienza e dedizione, ed essendo autoironica ride molto dei ritratti che ne faccio, a volte parecchio spietati. Il genere che porto avanti è talmente raro e poco praticato nel nostro Paese che rispetto ai miei lavori la critica letteraria a volte è impreparata, se non spiazzata. Il punto di vista di Carmen, che è la critica che più temo, è grazie al cielo sempre parecchio indulgente. So per certo che ride dei miei scritti solo perché mi ama ed è una ragazza gentile, ma io faccio finta di credere che il suo parere sia oggettivo e universale».
Da copywriter hai ricevuto molti riconoscimenti per le tue pubblicità radiofoniche. Hai creato qualche tormentone che puoi raccontarci?
«Ho messo le mani in molte pubblicità, anche televisive, che tuttora sono sotto gli occhi di tutti. Ma è sempre meglio non addentrarmi in questo argomento, spinoso, perché dovrei parlare di tutto ciò che ho proposto e non è mai stato comprato dai brand che seguo, e comincerei a piangere e arrabbiarmi per ore».
Come nascono le Fiabe brevi che finiscono malissimo e come è nato il tuo connubio con Sio?
«Le fiabe nascono nel 2007 dall’incontro/scontro tra mio amore per Gianni Rodari e quello per Quentin Tarantino. In quell’estate torrida pugliese ho scritto un centinaio di storie che però sono rimaste parcheggiate lì per mancanza di un editore che avesse voglia di pubblicarle. Nel 2011 un amico che lavorava nella gloriosa Bonsai TV mi propose di unire le forze con Sio e farne un progetto per Youtube. E poi è successo il resto».
Sio è veramente così come appare?
«E’ divertente, gentile, sincero ed è un talento straordinario. Poter lavorare con lui è un grande onore e una fortuna».
Ti piace sperimentare tante forme: dal libro scritto all’audiolibro, dalla letteratura per ragazzi ai librigame, fino ai testi che poi dai in pasto ad illustratori/fumettisti/animatori molto bravi. Se OGGI una legge molto severa ti costringesse a scegliere tra una sola delle tue molteplici forme di espressione, quale sceglieresti?
«Scriverei solo fotoromanzi».
Ricordo una battuta di Giorgio Montanini in un suo spettacolo: se una cosa fa ridere te e tuo figlio di 10 anni, o è un genio tuo figlio o sei un ritardato tu. Ti ritrovi in questa cosa? Quanto cambia il tuo registro di scrittura in base al pubblico destinatario di un tuo racconto?
«Dipende. Viviamo in un mondo che ospita molti analfabeti funzionali, per cui magari un ragazzino di 10 anni ne sa molto più di suo padre. Oppure semplicemente accade che i ragazzi, ormai connessi con il mondo intero, riescano a sviluppare da soli l’amore per stili umoristici nettamente opposti ai gusti dei genitori o dei nonni, stili scomparsi dal radar televisivo (come la satira o la parodia) a favore magari della farsa più edulcorata e rassicurante. A volte trovo più divertente scrivere per i ragazzi che per gli adulti: per forza di cose i grandi tendono a essere iper-razionali e perdono il gusto del gioco e la voglia di stupirsi. Certo, con i dodicenni non posso usare troppi sottintesi tipici dello stile britannico (che adoro), perché non hanno l’esperienza né il vissuto per capire certi riferimenti. Delle volte, però, accade che i genitori leggano i miei libri per ragazzi assieme i loro figli, e quindi accada la magia di mettere insieme due generazioni. In quel caso, ho vinto tutto».
Se fossi costretto a ricominciare una nuova vita in un altro Paese che non è l’Italia, dove sceglieresti di trasferirti?
«Io vivrei a Disneyland. Il mondo reale, a volte, sa essere parecchio deludente».
Il format dell’intervista prevede ora che tu ci indichi 4 libri belli da consigliare ai lettori.
Il romanzo più bello che hai letto nel 2021.
«Rispetto allo scorso anno ho letto pochissimo. Sono passato da 73 libri, forse il mio record assoluto, a una ventina scarsa. Tra questi, mi è piaciuto molto Scheletri di Zerocalcare».
Il libro che ti ha fatto decidere di fare lo scrittore?
«È stata una marcia molto lenta. Non ho mai pensato seriamente di diventare uno scrittore. Tuttora non mi ritengo ancora uno scrittore. Posso però dire da quali libri ho cominciato ad amare lo stile che pratico, e cioè da “Una modesta proposta” di Swift e “La vita e le opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo” di Laurence Sterne, studiati entrambi all’università. Lì ho capito che si poteva leggere anche “altro” e che l’ironia è un veicolo potentissimo».
Il libro geniale che avresti voluto scrivere tu?
«Che la festa cominci di Ammaniti. Per chi ama il grottesco, in quel libro si vede la mano del Maestro».
Il libro che ti fa venire voglia di cambiare il mondo (suggerimento di Carmen ammesso).
«Carmen mi ha fatto scoprire uno speech tenuto da Neil Gaiman qualche anno fa che ogni volta riesce a commuovermi. Si trova nella raccolta “Questa non è la mia faccia” e si chiama “Fai un’opera d’arte”».
Grazie Francesco, evviva i racconti, chi li scrive e chi li legge.
Anche per questo numero è tutto, ma non prima di un importante avviso.
Fino al 7 settembre, alla Booktique Fagola, sotto i portici di Piazza Cavour, ad Ancona, potete visitare la mostra fotografica “CINETIKA - In treno con Marcello Mastroianni”, racconto per immagini dell’incontro “ferroviario” del fotografo Claudio Penna con il grandissimo attore sul finire degli anni 80.