Confesso che la prima cosa che mi viene in mente quando sento la parola Donbass è un servizio televisivo delle Iene, o insomma un programma di quel genere. Al politico di turno chiedevano di esprimersi sulla guerra nel Donbass. Il poveraccio credeva di cavarsela in scioltezza dicendo che “la guerra non è mai lo strumento giusto per risolvere le controversie e bla bla bla”. Ma il diabolico giornalista incalzava: “scusi ma dove si trova il Donbass?” Ed ecco il terrore negli occhi dell’intervistato che finalmente scorgeva nitidi i contorni della figura di palta che si apprestava a fare. Dopo un attimo di smarrimento il poveraccio decideva di buttarla in caciara, dicendo che non aveva tempo per gli scherzi e le provocazioni, e se ne andava.
Buongiorno, sono Matteo Belluti, questa è Libri belli belli belli belli in modo assurdo, la newsletter powered by Libreria Fogola di Ancona. Oggi incontriamo Sara Reginella, psicologa anconetana che sin dal 2014 segue le vicende della guerra nel Donbass, si è recata sul posto, ha incontrato le persone, le ha conosciute, intervistate, filmate. Ha realizzato un documentario che ha riscosso grande successo e che l’ha trasformata in una voce autorevole sul tema. Ora le sue esperienze e le sue conoscenze di quella zona sono finite anche in un libro “Donbass, la guerra fantasma nel cuore d’Europa”.
Sì perchè la risposta esatta è che il Donbass si trova nel cuore d’Europa, ma in pochi lo sanno perchè di questo conflitto si parlò pochissimo nel 2014, quando scoppiò, e ancor meno se ne parla oggi anche se la guerra, seppure a bassa tensione, è ancora in corso.
La canzone scelta da Sara Reginella per accompagnare questa intervista è qui:
E cominciamo.
Come sei arrivata ad occuparti del Donbass? Cosa lega la vita di una psicologa di Ancona ad un conflitto combattuto in Ucraina orientale?
«Sono sempre stata affascinata da quel mondo e da quella cultura, le amo intensamente, e quando ho appreso che nel Donbass si combatteva, ho sentito come un richiamo ad andare sul posto per capire cosa stava davvero succedendo, dato che nessun media occidentale ne parlava. Tutto questo silenzio internazionale sulla vicenda era come un campanello, un modo per sottolineare che stavano accadendo cose che non c’era alcun interesse a divulgare. Dovevo comprendere e farmi testimone».
«Del Donbass poco si sa e poco-niente si parla. Guerra fantasma la definisci nel tuo libro. Perché? C'è stata una censura per interessi politici ed economici? Oppure perché semplicemente questa guerra non fa audience?
«Il territorio è nell’occhio del ciclone di una guerra per procura. Come racconto nel libro, nel 2013 il senatore americano John McCain era in piazza Maidan, a Kiev, istigando il popolo contro il proprio governo, offrendo anche attraverso facili slogan, il supporto americano. Oggi la censura prende le forme del silenzio: se nessuno ne parla, allora non esiste, e omettere è una scelta precisa, non neutra. Distinguere chi muove i fili di questa guerra, chi sono i sostenitori di una parte o dell’altra, è difficile per giornali e telegiornali, che hanno assuefatto il pubblico a una comunicazione rapida e dicotomica: tutte le ragioni da una parte e tutti i torti dall’altra. Per il Donbass, così come per qualunque guerra, sono necessari approfondimenti, la superficialità non fa bene a nessuno».
Che situazione c’è oggi in quelle zone? Cosa segna il termometro politico?
«Dall’autoproclamazione d’indipendenza delle repubbliche di Lugansk e Donestk la situazione è ammantata da una grande incertezza. Tuttavia il conflitto persiste, anche se a bassa intensità. Inoltre, come scrivo nel libro, di recente il Congresso americano ha autorizzato ingenti dislocamenti di armamenti in Ucraina, mentre la Turchia ha avviato una partnership militare con l’Ucraina stessa. Con l’esercitazione Defender Europe 2021, la più grande mai tenuta dall’epilogo della Guerra Fredda, la Nato ha schierato il proprio contingente militare lungo i confini della Federazione russa. Quest’ultima ha risposto mobilitando le proprie forze armate».
Tu quando ci sei stata l’ultima volta?
«Nel 2016 e con il materiale girato in quell’anno ho realizzato un documentario: “Start up a war. Psicologia di un conflitto” che ha avuto premi e selezioni ufficiali in diversi festival internazionali».
Qual è stato il percorso che ti ha portato alla pubblicazione del libro? Avevi il testo pronto e hai cominciato a proporlo alle case editrici? Oppure ti è stato commissionato da Exorma dopo l’uscita dei tuoi documentari? Raccontaci come diventi scrittrice.
«Sono stata spronata a scrivere dal mio agente, Luca Pantanetti dell’Agenzia Letteraria Scriptorama. Luca aveva assistito alla proiezione del documentario ad Ancona ed era sicuro che ne sarebbe potuto uscire un ottimo reportage narrativo, per quello mi contattò a distanza di qualche mese. Insieme abbiamo scelto il taglio da dare al testo, abbiamo preparato dei capitoli di prova e un piano dell’opera che lui ha sottoposto a editori selezionati. Exòrma è stato quello che ha saputo cogliere la portata e il valore di questo testo e ha chiesto di lavorarci insieme per il suo completamento e la successiva pubblicazione».
Che reazioni riscontri nelle tue presentazioni? La gente vede il tuo libro come una specie di guida for dummies?
«Finora la maggior parte delle presentazioni è stata davanti a un pubblico ben informato, che conosceva le vicende e il Donbass. È stata l’occasione per offrire loro una testimonianza diretta della situazione, trasmettere soprattutto le emozioni provate stando sul posto, che forse hanno anche più valore della cronaca. Il valore è quello di restituire una dimensione umana al conflitto, al di là delle vittorie e delle sconfitte, e raccontare come vivono laggiù i cittadini comuni, uomini, donne, bambini che vedono minacciato il proprio futuro.
La cosa più strana successa durante le tue presentazioni da scrittrice o da regista?
«La cosa più strana accade quando, a volte, durante le presentazioni, si presentano dei contestatori che si definiscono “di sinistra”, ma poi attaccano in maniera spietata la resistenza antifascista del Donbass. Lo trovo curioso, illogico e di questo aspetto parlo in particolare in una parte del capitolo che ho intitolato “Amici terroristi”».
Simona Rossi, la nostra cara libraia di Fogola, ha recensito il tuo libro per Il Manifesto scrivendo che tu stai “dalla parte del popolo e di questo popolo racconti la forza e il pudore”. Ma da che parte sta il popolo? Cosa vuole?
«I popoli, in ogni parte del mondo, compreso il Donbass, vorrebbero vivere in una società più giusta, dove nessuno viene dimenticato. Però, in sistemi sociali ingiusti, le popolazioni vengono spaccate affinché, invece di unirsi e combattere contro le iniquità, le persone si facciano la guerra tra loro. Questo è accaduto anche in Ucraina. Per questo motivo, amo spesso citare questa frase di Aleksej Mozgovoj, comandante del Battaglione Prizrak: “Combattiamo contro gli oligarchi sia da una parte che dall’altra ma, uccidendoci tra noi, ci stiamo solo suicidando in modo sistematico”. Credo che in questa frase sia celata una grande verità che dovremmo tenere in maggiore considerazione».
Una cosa che mi colpì fu il ruolo attivo degli ultras calcistici in quella che è passata alla storia come la strage di Odessa. Ciò rimanda alla guerra in Jugoslavia, la tigre Arkan era un capo ultrà e le curve degli stadi furono luoghi simbolo di quel conflitto. Sarà che l’unica cosa famosa del Donbass è una squadra di calcio che gioca in Champions League ed è peraltro allenata da un italiano, ma mi chiedo che legame ci sia in Donbass tra tifo e politica.
«Il massacro del 2 maggio 2014 a Odessa è stato un fatto che ha rappresentato un forte detonatore bellico: dopo l’uccisione di decine di antifascisti nella Casa dei Sindacati, in tantissimi, anche da diverse parti del Mondo, si sono uniti alle milizie popolari del Donbass. Nel capitolo “Uomini e vermi” raccolgo la testimonianza di un superstite di quel massacro, anch’egli unitosi alle milizie di una delle Repubbliche Popolari. A partire da questo drammatico episodio, di cui narro nel dettaglio all’interno del libro, mi sento di dire che nel calcio c’è sì una politicizzazione, ma una politicizzazione che rispecchia quella della collettività, in questo senso nazismo e antifascismo esistono sia nella società che negli stadi. A seguito della guerra, inoltre, il Donbass Arena, il grande stadio di Donetsk, è stato chiuso e la sua squadra, lo Shakter Donetsk, è stata portata via da quella regione in guerra. Ho avuto la fortuna di ascoltare da uno storico di Donetsk il racconto della storia di quella squadra i cui calciatori, durante la Seconda Guerra Mondiale, diedero la vita combattendo contro il nazismo. All’inizio, lo Shakter Donetsk si chiamava Stachanovec, in onore ad Aleksej Stachanov, il celebre minatore del Donbass. L’ultimo match fu disputato contro il Traktor Stalingrado il 24 giugno 1941, poi scoppiò la guerra e nello stadio di Donetsk, allora chiamata Stalino, durante l’occupazione nazi-fascista, giocarono Italiani contro i Tedeschi... di tutto questo racconto nel libro perché sì, è vero, anche il tifo, oggi come ieri, è fortemente legato alla politica».
Siamo ai libri belli da consigliare questa settimana ai lettori.
Vista la tua professione, il personaggio letterario più bello da psicanalizzare.
«Arturo Bandini, il protagonista dei romanzi di John Fante».
Un reportage di viaggio.
«Ai reportage preferisco le strutture narrative. Consiglio un classico, il romanzo autobiografico "On the road" di Jack Kerouak».
Il romanzo in cui immergersi per dimenticare la vita reale.
«Non credo che il ruolo dei romanzi sia quello di allontanare dalla vita reale, in ogni caso, come libri che prendono totalmente consiglierei quelli della collana di fantascienza Future Fiction».
Un autore del Donbass da scoprire, riscoprire, leggere per conoscere un po’ meglio quella zona del mondo.
«Non mi limiterei al Donbass, suggerirei tutti i grandi della letteratura russa, un mare in cui tuffarsi per scoprire l'est del mondo».
Grazie Sara, evviva la forza e il pudore dei popoli.
E adesso:
Domani, venerdì 24 settembre, alle ore 18.30, da Fogola Fàgola si presenta il libro "“Augusto Mancinelli o della sei corde" di Stefano Galvani (Guasco Editore).
Introduce Elena Casaccia. Intervengono Giancarlo Di Napoli, direzione artistica Ancona Jazz, e Daniele Cervigni.
La collaborazione con Anconajazz continua grazie alla performance del duo Gabriele Pesaresi al contrabbasso e Daniele Cervigni alla chitarra.
Il green pass è obbligatorio, la prenotazione è consigliata.
E infine, udite udite: Fogola/Fàgola ha un sito tutto nuovo e tutto bello (in modo assurdo, of course). Dentro ci trovate tante informazioni utili per capire chi si è, cosa si vuole, dove si va. Buona navigazione.
Alla prossima.