Neolaureata, coinquilina, fuorisede, precaria. Se dovesse descriversi, Ida lo farebbe così. E aggiungerebbe alla lista: stagista-in-una-importante-agenzia-di-comunicazione. E magari anche: tornata-single-dopo-una-lunga-relazione.
Non è quello che Ida sognava da bambina, ma è quello che riempie le pagine del bel romanzo d’esordio di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio, che ho intervistato per voi affezionati lettori di Libri belli belli belli belli in modo assurdo.
Io sono Matteo Belluti e questa newsletter va in onda in collaborazione con la Libreria Fàgola/Fogola di Ancona che ringrazio sentitamente.
Scrivere un libro a quattro mani non è impresa facile. Così come non lo è scegliere una sola canzone per accompagnare questa intervista. Eppure Sara e Jolanda hanno dimostrato di saper fare benissimo entrambe le cose.
Ecco la colonna sonora che hanno scelto in perfetto accordo:
E cominciamo.
Ida, la protagonista del romanzo, sogna di scrivere sceneggiature ma si ritrova a fare uno stage in una grande agenzia di comunicazione. Più o meno ciò che è successo a voi. Scrivere questo romanzo era il vostro modo di esorcizzare la situazione? Un modo per tenere aperto il cassetto dei sogni?
Jolanda: «Proprio così. Anche se la situazione che vivevamo in ufficio non era esattamente come quella che descriviamo nel romanzo. Ma sì, soprattutto all'inizio, entrambe ci siamo sentite molto spaesate e schiacciate dai ritmi lavorativi. Eravamo abituate a una vita da studentesse, in cui tutto il tempo libero poteva essere impiegato a scrivere e a immaginare nuovi progetti. Iniziando lo stage, ci siamo ritrovate a relegare tutte le nostre aspirazioni in uno spazio limitato: la sera, o nel weekend. Però quello spazio era vitale, un po' perché ci permetteva di dare respiro ai nostri sogni, un po' perché era diventato il nostro modo per stare insieme. In fondo io e Sara abbiamo stretto amicizia proprio scrivendo a quattro mani».
Sara: «“Esorcizzare la situazione” è proprio l’espressione corretta. Il romanzo non è nato come un romanzo, ma come una newsletter: all’inizio scrivevamo soltanto le mail che la protagonista invia a Gio. Attingevamo a piene mani dalle frustrazioni e dalle contraddizioni di una vita che non ci appagava e ci scherzavamo su, le ridicolizzavamo, le esasperavamo. Prendevamo la negatività e la trasformavamo in qualcosa di bello, perfino di divertente, nel suo essere tragico. È vero ciò che dice Jolanda, questo era e in parte ancora è il nostro modo di stare insieme e di riservare un angolino delle nostre vite a quello che ci rende felici».
Neolaureata, coinquilina, fuorisede, precaria: queste le parole che descrivono Ida. Voi invece? Quali sono i 4 aggettivi per descrivervi?
Jolanda: «Troppo difficile. Vale lo stesso se ci descriviamo a vicenda? Per me Sara è: uno, esilarante. Due, empatica. Tre, accogliente. Quattro, introspettiva».
Sara: «Domande così mi ricordano perché è tanto bello essere in due. Per me Jolanda è: generosa, brillante, sorprendente, e la persona più leale che io conosca.
Grande protagonista del libro è Milano. Qual è il vostro rapporto con Milano?
Jolanda: «Un rapporto molto altalenante. All'inizio, quando mi sono trasferita per studiare all'università, l'ho molto amata, perché rappresentava una nuova vita, lontana dalla città in cui sono cresciuta. Poi c'è stato un periodo in cui l'ho odiata profondamente, perché ne vedevo solo i lati negativi. Mi pesava molto il fatto che la vita ruotasse soltanto intorno al lavoro e alla performance. O, almeno, io la vivevo così. Sono tornata per un'offerta di lavoro e sono rimasta. Adesso sono in pace. Ho imparato a volerle bene. La considero "casa"».
Sara: «Io invece ho vissuto Milano da lavoratrice fin dall’inizio. L’impatto, manco a dirlo, è stato terribile. Affitti troppo cari in case disastrate, persone agitate che correvano su e giù senza neanche guardarti in faccia, routine stremanti e la stringente sensazione di non star mai facendo abbastanza, di non star mai performando abbastanza. Come se il lavoro fosse l’unica cosa - non “l’unica cosa importante”, proprio l’unica cosa. Poi è cambiato tutto, non saprei neanche dire come o quando: a un certo punto ho trovato il mio spazio, un po’ mi sono adeguata, un po’ ho messo a fuoco i miei limiti e ho ricominciato a rispettarli. Adesso anche io voglio bene a questa città, la sento più mia. Non fa più così paura».
Qual è stato il vostro menage durante la stesura del libro? Come si scrive un libro a quattro mani?
Jolanda: «Prima di tutto si parte dalla sintonia. È un elemento imprescindibile per lavorare insieme. E poi, al di là della tecnica, è fondamentale imparare ad ascoltarsi, a venirsi incontro. È vero che per noi è stato naturale, ma devo dire che non lo abbiamo mai dato per scontato. Curiamo molto il nostro rapporto e la nostra comunicazione, sia da un punto di vista lavorativo sia da un punto di vista relazionale - anche perché, nel nostro caso, il confine è davvero molto sottile».
Sara: «Sì, è un misto tra sintonia, fiducia e stima. Ci siamo sempre ascoltate molto, non abbiamo mai avuto remore ad affidare all’altra uno spunto, un pezzo, un copy. Se c’è una persona di cui accetto ciecamente i giudizi, i pareri e le opinioni, è Jolanda - non a caso li ricerco costantemente, anche quando lavoro da sola. Siamo molto accoglienti l’una con le idee dell’altra, non è mai “no”, ma è sempre un “parliamone, capiamo”. È raro trovare un equilibrio e una complicità del genere, mi sento molto fortunata».
Mi raccontate il percorso che ha portato alla pubblicazione del libro?
Jolanda: «Da quando ci siamo diplomate alla Scuola Holden, abbiamo sempre scritto insieme. Abbiamo sempre cercato di portare avanti un progetto. A volte era un film, altre una serie tv, ma l'obiettivo era sempre lo stesso: raccontare una storia. Poi, quando abbiamo capito che l'unica storia che volevamo raccontare in quel momento era la nostra esperienza di stage, ci siamo messe al lavoro per capire quale fosse il modo migliore per farlo».
Sara: «E abbiamo cambiato “modo” circa cinque volte. È una storia che ormai ha quasi compiuto quattro anni, e che ha conosciuto davvero ogni forma - dalla newsletter a un progetto editoriale da portare avanti sui social. Cercavamo di trovare la forma migliore, quella più giusta. Il romanzo è arrivato solo alla fine, solo quando essere pubblicate da una casa editrice sembrava una possibilità reale. A volte, guardando indietro, ci capita di chiederci come sia possibile che non ci siamo mai stancate, e ci rispondiamo che evidentemente l’urgenza di raccontare questa storia era troppo forte per poter essere messa da parte».
Vi siete conosciute al corso di sceneggiatura della Scuola Holden. Il vostro progetto nasce già con l’intento di evolversi in sceneggiatura per una serie tv?
Jolanda: «In realtà è proprio il contrario. Questa storia, almeno inizialmente, nasce come racconto seriale. Il progetto era una newsletter narrativa a puntate, un romanzo d'appendice digitale, diciamo. Poi l'abbiamo trasformata in romanzo e quindi ci siamo adattate a una nuova forma. Ma credo che la vocazione seriale - lo sviluppo del personaggio protagonista e dell'arena in cui si svolgono gli eventi - non si sia completamente persa».
Sara: «Sì, esatto. Quando eravamo a metà della stesura del romanzo, già fantasticavamo su un possibile seguito. Avendo studiato sceneggiatura seriale, con ogni probabilità abbiamo inconsapevolmente riprodotto determinati schemi e adottato determinate tecniche. Il mondo che abbiamo costruito è seriale, le vicende narrate potrebbero essere infinite».
Nel vostro futuro cosa c’è? Continuerete a scrivere in coppia come Fruttero e Lucentini oppure dopo questa esperienza ognuna per la sua strada?
Jolanda: «Che bel paragone! Magari!»
Sara: «A me “la Ditta” non dispiace affatto. Non credo ci separeremo tanto presto».
I libri belli da consigliare ai nostri lettori:
Un libro per staccare la spina e perdersi tra le pagine.
Jolanda: «Sortilegi di Bianca Pitzorno».
Sara: «L’Amica Geniale di Elena Ferrante».
Il più bel libro letto quest’anno.
Jolanda: «La città dei vivi di Nicola Lagioia».
Sara: «Middlesex di Jeffrey Eugenides».
Un giallo.
Jolanda: «Non leggo molti gialli... un thriller come Questo giorno che incombe di Antonella Lattanzi può andare bene lo stesso? È bellissimo!».
Sara: «Non leggo gialli da tanto tempo, ma da ragazzina avevo un debole per Giorgio Faletti, Io uccido mi terrorizzava e affascinava moltissimo».
Il libro che vi piacerebbe sceneggiare.
Jolanda: «I Leoni di Sicilia di Stefania Auci».
Sara: «Parlarne tra amici di Sally Rooney, ma mi sa che arrivo tardi, quindi ripiego su Beautiful World, where are you, sempre suo».
Grazie Jolanda, grazie Sara, evviva le coppie letterarie.
E ora:
Il calendario di Fàgola con i prossimi appuntamenti da non perdere. WOW:
Ed è tutto. Alla prossima!