Buongiorno a tutti, io sono Matteo Belluti, intervisto scrittori bravi per conto della Libreria Fogola di Ancona e poi vi invio tutto tramite mail. Comodo, no?
Il libro che presentiamo oggi è del 2018 ma, a parte che si è mantenuto benissimo tanto che potrebbe essere ripubblicato pure domani e sarebbe comunque all’avanguardia, in realtà come sempre qui presentare un libro è un pretesto.
LA TRAMA
"Jocelyn uccide ancora" è un almanacco tanto divertente quanto perturbante: racconti comici, siparietti dadaisti, parodie letterarie, cronache dall'adolescenza profonda, poesie, guide pratiche, ipertesti di canzoni alla moda e molto altro. Ha inizio con una lucidissima Anna Frank che si trova costretta a nominare un parente per la deportazione, in una tragica parodia dei reality moderni. È lì che si apre il gorgo dove poco a poco prendono a vorticare personaggi dello spettacolo e gente comune, carabinieri fraintendenti e gorilla giocherelloni, malati di Alzheimer e ricordi del liceo, pizza no limits e favole horror. In questa spirale infernale si ride sempre più forte e sempre più amaro, non si salva nessuno.
Un altro pretesto è ricordarvi che lunedì prossimo, 12 luglio, Alessandro Gori sarà protagonista alla Mole Vanvitelliana di Ancona con il suo spettacolo Eglogle, all’interno del festival di poesia totale La punta della lingua.
Sì perchè Alessandro Gori, oltre ad essere il migliore scrittore comico italiano (come scrisse il famoso critico Claudio Giunta su Internazionale), l’autore della bellissima pagina Facebook Lo Sgargabonzi, il creatore delle schede degli ospiti su Una pezza di Lundini (nonché il medium che interloquisce con David Bowie), un grande appassionato di giochi da tavolo, uno dei massimi studiosi della vicenda del mostro di Firenze, oltre a tutto questo, dicevo, sta per debuttare anche come poeta.
Altri pretesti non mi vengono in mente, quindi direi che questa è la colonna sonora:
e possiamo cominciare.
Ciao Alessandro. All’epoca in cui uscì il tuo libro ti chiesi quale fosse il tuo racconto preferito e tu rispondesti “Mondo Senza Fine”. Il mio era e resta “E addirittura ripassano più volte”. Tu hai cambiato idea?
«Trovo molto rappresentativo il dittico composto da Gorilla Vs. Fucilata 0-1 e Il Ritorno di Harambe, due racconti connessi e collocati rispettivamente a inizio libro e appena prima della fine. Ma ti dico, mi è difficile scegliere, Jocelyn è frutto di 13 anni di lavoro. Non volevo riempitivi o infatuazioni del momento che non reggevano sulla lunga distanza, volevo un libro di soli hype, come la prima suite di Tubular Bells di Mike Oldfield. Cinquanta racconti e dieci interludi, dritti filati senza mezzo cedimento».
Stai per pubblicare un nuovo libro,vero? Anticipazioni di sorta?
«Ho due progetti pronti. Un libro di poesie dal titolo Eglogle e una nuova antologia di racconti dal titolo Confessioni di una Coppia Scambista al Figlio Morente. Sto temporeggiando solo perché ad oggi, dopo esperienze per me mediamente deludenti, solo l’idea di avere di nuovo a che fare con un editore mi dà la nausea».
Jocelyn uccide ancora era un libro di racconti scritti in un arco di tempo molto lungo e raccoglieva materiale scritto praticamente in una vita. E’ stato un grande successo, quindi ora le aspettative per la tua prossima uscita sono altissime. Come la vivi?
«Rilassatissimo. I miei libri devono piacere innanzitutto a me e, ma solo in secondo luogo, al mio maestro e mentore Ebenezer Stanley, mistico molto popolare nella Sheffield del nostro disincanto. Se poi trovano un loro pubblico, meglio ancora».
Dove trovi lo spunto narrativo per i tuoi racconti, gli articoli e i post? Hai un metodo?
«Intanto vanno distinti i post da tutto il resto. Dei post non me ne frega niente, sono giusto un passatempo, come quando si scarabocchia durante una telefonata. Per quanto riguarda il resto, non ho mai avuto un metodo. Scrivo quando mi viene, senza una regola. E non basta che mi venga l’ispirazione, perché poi devo averne pure voglia di svilupparla su carta, cosa che di solito non ho, visto che scrivere non mi piace. Mi piace il risultato finale, ma la scrittura è sacrificio e io sono un figlio unico allergico anche alla minima scomodità. Oltre a questo sono zero versatile. So scrivere solo di cose che mi colpiscono e che noto da solo, non riuscirei mai a scrivere su commissione o a sviluppare un’idea altrui. Invidio chi sa farlo».
E nel frattempo hai anche debuttato alla guida di una collana editoriale ponendoti come sorta di talent scout per giovani autori comici. Hai cominciato con la raccolta di racconti di Niccolò Re, ricordo che già di lui parlavi benissimo due anni fa. Come ti sei trovato con questo lavoro? E come sceglierai i prossimi titoli della collana? Gli interessati possono inviarti proposte?
«Pure in questo caso, mi piace scovare da solo gli autori che vorrei pubblicare. Di solito sono individui che non hanno mai pensato di scrivere un libro umoristico. Niccolò stesso è un serio, chirurgico e azzimato giornalista di un quotidiano di La Spezia, ma io l’ho sempre trovato una delle persone più divertenti, oblique, inafferrabili e morbose che abbia mai conosciuto. Che scrivesse un suo libro di racconti era quasi un dovere. Bramavo proprio di averlo. Detto questo, il nuovo libro è in lavorazione1 e avrà colori molto diversi da “Rammaricandoci per la bellezza della sposa” di Niccolò Re, ma sono sicuro che sarà un gran libro perché l’autore ha pure lui una psicologia unica, cangiante e simile a nessun’altra».
Ti è piaciuto Lol? Parteciperesti se ti invitassero? Oh, magari ti hanno già invitato, ma non te lo sto chiedendo perchè so che non potresti dirlo, pena una maxi penale.
«No, ma il problema sono io. La risata in senso stretto non mi ha mai fatto impazzire, ma oggi mi ha proprio stancato, così come quest'ansia di dover ridere sempre, comunque, su qualsiasi cosa, sguaiatamente e in maniera bulimica, tipo fossimo gerarchi fascisti chiusi in una villa durante gli ultimi giorni di Salò. Ridere ed essere giudicato per la cosa più misera, trita e pornografica del mondo: quanto fai ridere. Vivendo la comicità poi dall’interno, ti dico che non mi fa ridere più niente e l’ultima cosa che ho voglia di fare nella mia giornata è ridere».
Per la seconda stagione sei nel cast di “Una pezza di Lundini” su RaiDue, quest’anno sembra con uno spazio ancora maggiore.
«La televisione non è il mio nido, ma il programma di Lundini e Benincasa è la cosa più libera e creativa che abbia visto in tv dai tempi di Un Fantastico Tragico Venerdì. Non sono stato sbattuto lì a fare qualcosa che non sapevo o non volevo fare. Sono contento di aver dato il mio contributo al programma».
Come cambia il tuo approccio con la tv rispetto alle altre cose che fai? Penso che molte delle cose che scrivi su Facebook o anche negli articoli per Rolling Stone non sarebbe forse accettato in tv. Cerchi di darti una regolata? Le cose che fai le discuti con Lundini e gli altri autori o puoi fare come ti pare? Comunque grazie per aver portato in tv la faccia di Matteo Contigliozzi.
«In realtà Lundini e gli altri autori mi hanno dato molta libertà su come gestire il mio spazio, non ho avuto fredde commissioni. Credo che questo atteggiamento sia alla base della riuscita del programma. Non esisteva un contenitore dalla forma già decisa da riempire passivamente. E’ stata una bella esperienza proprio perché a ognuno di noi era chiesto di fare quello che sapeva fare meglio. Dovrebbe essere sempre così quando si chiede di agire la propria creatività. Anche nella mia rubrica settimanale Conglomerandocene su Rolling Stone mi è viene data massima libertà ed è una collaborazione che mi stimola sempre e di cui sono molto felice.
Su Matteo Contigliozzi: mi piacerebbe portarne in giro non solo la faccia ma tutto il suo estro. Nei miei live romani è ormai da anni immancabile presenza sul palco e le nostre interazioni mi danno una soddisfazione unica, tipo smontare i lobi di un teschio in maniera perfetta con la semplice pressione dei palmi: CLAC!».
Cos’è Eglogle? Cosa ci aspetta il 12 luglio alla Mole?
«Eglogle è uno spettacolo a tema poetico e non solo. Il 12 luglio reciterò le mie poesie e sfodererò i miei pezzi in prosa più noiosi e con la puzza sotto al naso, di quelli che spero di vedere il pubblico toccarsi il mento da intenditori, abbassare la pipa in radica e dire al vicino: “per quanto anche Saba…”».
Sono certo che accadrà. La televisione, i libri, la scrittura breve per una rivista: indipendentemente dall’aspetto economico, quale tra questi mezzi ti piace di più?
«In realtà quello che mi piace di più è un’altra cosa ancora, ovvero fare spettacoli live. Ai tempi la logistica che c’è dietro mi stressava, oggi la vivo quasi come una via di fuga, qualcosa che mi tenga occupata la mente, un contesto in cui possa mettere una faccia nuova. Infatti quando vado da qualche parte cerco di restarci il più possibile, magari scroccando l’ospitalità a qualche mio adepto».
Quanto tempo in un giorno passi sui social? E quanto tempo al giorno dedichi alla scrittura?
«Il tempo che passo sui social è variabile, ma non è mai per documentarmi. Non leggo pagine, mi sfugge il senso di quasi ogni meme, non approfondisco nemmeno la polemica del giorno. Voglio che tutto mi arrivi come da dietro un vetro smerigliato. E’ sapendo poco di qualcosa che sono stimolato a reinterpretarlo, possibilmente in maniera sbagliata o meglio ancora fuori fuoco, come un marziano che cerca di mimetizzarsi fra gli umani ma si capisce che c’è qualcosa che non torna».
Domanda molto seria. A volte sei stato criticato per i contenuti dei tuoi pezzi, pensiamo a 2 grandi classici come Napoletanità o Anna Frank. Leggerai almeno uno di questi due alla Mole? No, ma la domanda seria era: non pensi che la nostra società abbia completamente perso la sensibilità? Ogni tragedia è buona per far battute, il covid ha portato via un sacco di vite e noi non abbiamo smesso neppure un attimo di cazzeggiare su Instagram. Ci emozioniamo di più di fronte alla morte del duca d’Aosta che aveva 150 anni, piuttosto che per una funivia che precipita nel vuoto con dei bambini dentro. Su un fatto di cronaca come questo della funivia 20 anni fa se ne sarebbe parlato per mesi, oggi la notizia è stata quasi messa in ombra dal video in cui Damiano dei Maneskin sembrava tirare cocaina in eurovisione. Tu sei un comico e magari con il cinismo ci lavori, ma non è che con la scusa del the show must go on siamo diventati tutti degli stronzi?
«Alt! Il Duca d’Aosta era un amico, abitava ad Arezzo come me, lui in Valdarno e io in Valdichiana. Non aveva “150 anni” ma 78, un numero normalissimo, non c’è bisogno di fare tanti versi. Persona piacevole, alla mano e generosa quindi un po’ di rispetto, grazie. Detto questo, penso che la morte abbia innanzitutto vissuto nell’era social una vera e propria ricostruzione cognitiva. Una volta il pensiero della morte ti teneva sveglio nottetempo e non osavi parlare della tua paura di finire nel caos indeterministico con qualcuno che stimavi, perché eri terrorizzato che quello lì ti dicesse che pure per lui era così, pure per lui dopo la morte non c’era niente. In epoca social invece la morte pare la cosa più fica e adrenalinica che ti possa accadere, un happening in giardino, una gita a Mirabilandia, la miglior start-up su cui investire. Muore qualcuno e in rete è un florilegio di omaggi, ricordi, foto nei ristoranti in Trastevere, reaction, rivalutazioni, parodie, meme, contromeme, trenini, partouze e caroselli di tutte le specie. Quasi non vedi l’ora che ti succeda».
Chiedo scusa per la gaffe. Il format di questa newsletter prevede che a questo punto tu ci consigli dei libri belli.
«Ho letto pochissimi libri in vita mia, quindi pesco da un insieme molto limitato, ma ci provo».
Il testo migliore per comprendere fino in fondo la vicenda del mostro di Firenze.
«Il saggio imprescindibile sul Mostro di Firenze è “Al di là di ogni ragionevole dubbio” di Paolo Cochi, un lavoro di giornalismo investigativo esemplare. Quello scritto meglio (seppur con tesi che non condivido) è “Un uomo abbastanza normale” di Ruggero Perugini, che fu il capo della squadra anti mostro».
Il libro più divertente che hai letto.
«I libri umoristici che più mi hanno colpito da ragazzo sono stati Frittura Globale Totale di Felice Caccamo e Il Mondo Senza un Filo di Grasso di Gene Gnocchi. Non una sequenza di battute, ma delle pure psicologie al potere, come piace a me. Fra quelli usciti negli ultimi anni, straconsiglio “Il pianista viaggiatore” di Leo Sanfelice ed “Era meglio il libro” di Valerio Lundini. Fra quelli mai usciti: darei via una gamba per un libro ritrovato di Alfredo Cerruti degli Squallor, per me l’alfa e l’omega del mio ideale di comicità».
Un libro che hai regalato.
«Hanno Tutti Ragione di Paolo Sorrentino, un’opera totale da regalare solo a una persona nella vita».
Un libro game.
«Qualsiasi di Joe Dever. La saga di Lupo Solitario è meglio della vita e la lettura di quei libri, esattamente come i giochi di Rainer Knizia, gli Zagor disegnati da Gallieno Ferri o il disco Ommadawn di Mike Oldfield, è una delle poche cose che mi porta via dal rumore di fondo del mondo, dalla trap e dai meme, dagli scricchiolii delle mie ossa, dai volti dei miei cari che collassano e iniziano ad adattarsi al caos».
Grazie Alessandro, ci vediamo il 12 luglio all’ombra della Mole.
Ma adesso…
Tanta eleganza Alessandro Gori ci regalerà sulla Punta della lingua che non possiamo non omaggiarlo con la nostra bevanda più prestigiosa, un pò fighetta e solo per uomini eleganti e salottieri come lui: ecco un Armagnac del 1997!
Di cioccolate che abbiamo di certo, l'associazione è con quei burloni di Omnon, Islandesi come lo Sgargabonzi… con questa barretta hanno deciso di farvi provare l'esperienza del caffellatte.. Da sgranocchiare.
Continua “Provviste d’estate”, la rassegna estiva di Arci e Casa Culture al Lazzabaretto. Accoppiata fantastica la prossima settimana per parlare di teatro, corpo e voce:
• Lunedì 12 luglio con Sonia Antinori
• Martedì 13 luglio con Isabella Carloni
In entrambi i casi alle 19. Siateci.
E anche per stavolta è tutto. A tra due settimane.
non c’è stato verso di farmi dire il nome dell’autore.