Buongiorno, qui Matteo Belluti che vi parla dalla Newsletter ufficiale della Libreria Fogola di Ancona. Qualche anno fa un libraio illuminato di Chiaravalle (AN) che si chiama Enrico Guida mi aveva parlato benissimo de “La grande A” romanzo d’esordio di una tale Giulia Caminito. La storia era ambientata in Africa negli anni del post-colonialismo italiano. Presi il libro e poi lo lasciai lì, scavalcato in graduatoria da cose che mi parevano più urgenti, e infine dimenticato.
Passa qualche anno, ritrovo Giulia Caminito nella cinquina del premio Strega con un romanzo stavolta ambientato nel presente “L’acqua del lago non è mai dolce”. Lo leggo, mi piace così tanto che subito corro a recuperare “La grande A” ed ecco che finalmente scopro questo gioiellino che merita di stare tra i grandi romanzi “coloniali” di tutti i tempi.
Nel frattempo Giulia Caminito non vince il premio Strega ma va in finale al Campiello. Le chiedo un’intervista per la newsletter che lei gentilmente mi concede.
Poi “L’acqua del lago non è mai dolce” vince il Campiello ed è il giusto riconoscimento ad un romanzo che merita di essere letto e ad un’autrice che merita di essere conosciuta e riconosciuta per tutta la sua produzione.
«Probabilmente -mi scrive dopo la serata finale del Campiello- il ricordo più forte è stato quando ho girato gli occhi e ho visto la copertina del mio libro apparire sullo schermo che annunciava il vincitore, è stata una forte emozione. La trasferta è stata complicata dai problemi di mobilità e di salute quindi porto con me tanti piccoli momenti di gentilezza, tante persone si sono prodigate per aiutarmi a essere lì».
Giulia Caminito è nata a Roma nel 1988, ha esordito nel 2016 con il romanzo “La grande A” (Premio Bagutta sezione Opera Prima e Premio Brancati sezione Giovani). In seguito ha pubblicato la raccolta di racconti “Guardavamo gli altri ballare il tango” (2017), la fiaba La ballerina e il marinaio (2018) e il romanzo Un giorno verrà (2019). Quest’ultimo è ambientato nelle Marche dei primi del Novecento, nelle campagne di Serra de’ Conti. Giulia mi dice che tra i tre questo è il suo romanzo preferito ed ora è qui, in pole position sul mio comodino.
“L’acqua del lago non è mai dolce” (2021) è il terzo romanzo di Giulia, finalista allo Strega, vincitore dello Strega Off e della 59esima edizione del Premio Campiello.
La colonna sonora scelta da Giulia per questa intervista è qui:
Ecco la nostra chiacchierata.
Ciao Giulia. Nei tuoi libri ricorrono figure di donne che mandano avanti la famiglia, madri ingombranti e spesso con discutible spirito materno, la stessa Gaia ha tratti caratteriali tipici del “maschiaccio”. E spesso racconti di uomini fragili, se non deboli, oppure inadeguati e deludenti. Lo avevi notato?
«Diciamo che in realtà solo nel primo e nel terzo romanzo ricorre la figura di una madre di questo tipo, anche se le due sono diverse tra di loro. Adele di “La Grande A” è una avventuriera, scappata dalla famiglia per vivere in Eritrea, anticonformista, cacciatrice, barista, senza peli sulla lingua, che schiaffeggia i preti e contrabbanda alcolici e sigarette, una madre che ingombra ma che poi risulterà un appoggio positivo e vitale per la figlia Giada; la seconda è Antonia di “L’acqua del lago non è mai dolce” che è una madre dura, ma solida, presente. Non credo che lo spirito materno1 si possa misurare o possa giudicare così; una madre che deve occuparsi di una famiglia numerosa e senza soldi dovrà fare fronte a delle preoccupazioni molto stringenti che di certo la porteranno a reagire in maniera decisa. Gli uomini sono protagonisti del mio secondo romanzo “Un giorno verrà” che segue l’evoluzione politica di un giovane anarchico e la scoperta del suo legame con quello che pensa essere suo fratello. Lì la madre della famiglia del romanzo è cieca, timorata di Dio, le muoiono in grembo tutti i figli e le figlie e quelli nati e cresciuti le si allontanano uno dopo l’altro. Penso quindi di aver messo nei romanzi figure molto diverse e forze e contrasti di varia natura, fluidi nel loro riferimento di genere, come Gaia che ha spesso comportamenti maschili mescolati alla sua crescita in un corpo di donna».
Dopo due romanzi storici, hai deciso di ambientare l'ultimo nel tuo tempo e nei tuoi luoghi. Così è più facile?
«No, per me non è stato più facile, anzi. Lo scenario storico per me è più comodo da affrontare perché posso avvalermi di tanti materiali e posso ricostruirlo secondo precise angolazioni appoggiandomi alle fonti che trovo più interessanti. Il passato ha tanti pregi e lo trovo più accogliente, anche come tempo verbale, permette varie profondità che il presente non ha. Ma mi sono buttata per cambiare genere, per mettermi alla prova».
Per i tuoi romanzi storici come ti documenti? Come riesci a costruire con tanta precisione le “scenografie” dei luoghi e il vocabolario dei personaggi?
«Ci sono tantissime fonti possibili, dagli archivi ai materiali fotografici, ci sono i racconti di famiglia, i manuali specialistici e poi le singole storie che si incontrano cercando nei luoghi, memoriali, biografie, scambi epistolari, musei, pieghevoli, tutto può essere di aiuto. La ricerca dei materiali storici è quella che amo di più, mi entusiasma».
Un tema che mi attrae sempre molto è quello della provincia, che nel tuo ultimo romanzo è protagonista. Mi ha sorpreso trovare i tratti tipici del paesino di provincia in un luogo, Anguillara, sul lago di Bracciano, che invece è turistico, quindi naturalmente aperto allo scambio con gli altri, per di più è praticamente attaccato a Roma. E’ colpa del lago?
«Anguillara è un paesino di provincia, d’estate il lago si riempie di turisti ovviamente ma il resto dell’anno il paese esiste comunque e ha la sua vita indipendente. Anguillara è un borgo storico con il suo dialetto, le sue feste tradizionali, il suo santo patrono, i suoi luoghi storici, i piatti tipici, è insieme provincia ma anche periferia essendo molto vicino a Roma, è un microcosmo ma anche un luogo di passaggio. Il lago è parte della sua identità in maniera fondamentale, perché il borgo è sempre stato borgo di pescatori e una volta il lago arrivava proprio sotto alle case del centro storico, senza lago non ci sarebbe Anguillara».
Sono forse ormai dominato dalla logica delle serie tv, ma quando finisco un romanzo che mi piace, mi viene spontaneo chiedere quando e se uscirà la seconda stagione. Perchè nei romanzi, polizieschi a parte, non capita quasi mai? Torneresti sul personaggio di Gaia?
«No, non credo avrebbe senso. Da spettatrice di serie televisive posso dire che si nota quando gli autori di una serie non avevano pensato a un seguito e iniziano ad allungare il brodo perché la prima stagione è piaciuta. Gaia ha detto quello che doveva dire, devo lasciarla andare».
Gaia è un personaggio inquietante e attraente, il massimo per un lettore. Mi chiedo ad esempio: per chi voterebbe alle elezioni?
«Credo non voterebbe, è un personaggio apolitico, e totalmente disimpegnato. Oppure voterebbe quello che vota la sua amica o il suo ragazzo, giusto per fare quello che fanno gli altri».
Ho sottolineato questa frase del tuo libro, in un passaggio che dedichi ai giorni del G8 del 2001: “Alle mie amiche i giorni dopo chiedo se hanno visto in televisione di Genova e loro mi rispondono di no, c’erano le repliche di Dawson Creek. A Joey piace più Pacey a quanto pare”. Poche righe che secondo me dicono più di tanti editoriali scritti in questo ventennale. Come dire che la nostra generazione oltre che con le bastonate di Genova è stata messa a tacere anche con dosi massicce e anestetizzanti di consumismo?
«Sì, era questo che volevo dire con questa frase. La lotta politica e la militanza fisica hanno fatto parte in maniera importante della vita politica italiana fino al secondo dopoguerra, gli anni del consumismo hanno, credo, sradicato il rapporto tra vita e politica. Le contestazioni del G8 erano contestazioni alla globalizzazione e alla società feroce dei consumi a cui in qualche modo, con l’ingresso dei social media nella nostra vita e dei canali virtuali di vendita, ci siamo tutti piuttosto assuefatti e arresi, tranne pochi che ancora si sottraggono».
In quale epoca storica ti stai calando per il tuo prossimo romanzo? Ci prepariamo a rimettere indietro le lancette dell’orologio?
«Per ora sono ferma, sto ragionando, credo che stavolta sarà un romanzo a doppio binario con insieme passato e presente, voglio infatti cambiare ancora. Una delle autrici che apprezzo di più è Clara Uson che ha saputo rivoluzionare molto la scrittura storica e fonderla con quella presente, attraverso delle ibridazioni interessanti e delle posizioni narrative di forte contrasto, proprio per far riflettere sul rapporto scricchiolante tra quelli che consideriamo i grandi eventi storici e l’indistinto flusso consumistico del presente».
Sei editor per la casa editrice Perrone di Roma. In una intervista hai detto che quello da editor è “un lavoro da artigiano che non ha bisogno dell’esposizione: puoi tranquillamente non apparire mai”. Fin qui sembrerebbe il paradiso per chi come te non ama troppo la ribalta forzata che si richiede oggi a chi pubblica libri. Però poi quant'è difficile avere a che fare con gli scrittori da editor?
«Sicuramente è delicato avere a che fare con autori e autrici, ho avuto alcune difficoltà a volte, ma quando vedo che si crea dell’attrito tendo a diminuire la pressione, il libro è comunque sempre di chi lo scrive e non si può e non si deve pensare di poterlo stravolgere o di stressare chi scrive al punto da creare contrasti».
Entri in contatto con tanti aspiranti scrittori: quale consiglio ti senti di dare a chi non ha ancora agganci nell’editoria e vorrebbe far leggere le proprie cose a un editore?
«Non è facile dare dei consigli, credo sia necessario un po’ guardarsi intorno, partire dalle librerie, scoprire le case editrici e cosa pubblicano, appassionarsi un po’ anche all’editoria per capire se c’è un editore adatto a noi, e poi anche chiedersi perché scriviamo, dove vorremmo arrivare. Posso dire che io quando leggo i manoscritti considero molto le storie che vengono proposte, quanto sono dettagliate, quanto parlano di mondo, che temi affrontano, con quale scrittura. Più sono ricercate e ben progettate, più sono ricche e stratificate più sono valide e interessanti per un piccolo editore soprattutto che ha bisogno di libri ben riconoscibili e non punta a un catalogo generalista».
Finiamo, come da tradizione, con i 4 libri belli consigliati da Giulia Caminito.
Un romanzo sul colonialismo italiano?
«“Sangue giusto” di Francesca Melandri».
Un Romanzo di un tuo collega di dozzina allo Strega?
«“Sembrava bellezza” di Teresa Ciabatti».
Un romanzo scritto da una donna che meriterebbe di stare tra i classici e invece è stato trascurato?
«“Un quarto di donna” di Giuliana Ferri»
Il romanzo per chi vuole imparare a scrivere?
«“La storia” di Elsa Morante»
Grazie Giulia, evviva i premi meritati.
E adesso:
Sabato 11 settembre (ore 17,30) Ancona Foto Festival fa ancora tappa da Fàgola Booktique per la presentazione del volume “Rumore” di Gianfranco Mancini, un viaggio durato 3 anni sui luoghi del terremoto del 2016. Saranno presenti il sindaco di Castelsantangelo sul Nera Mauro Falcucci e il geologo Andrea Dignani. Intermezzi di poesia e musica curati da Mario Duca e Gabriele Pesaresi.
(Ingresso fino a esaurimento posti, obbligatorio green pass e firma dell’autodichiarazione)
E’ tutto. A tra due giovedì.
Su questa cosa dello “spirito materno discutibile” poi io e Giulia abbiamo continuato a *discutere* via mail. Voi leggete i libri e fatevi la vostra idea, magari un giorno organizzeremo una retrospettiva dedicata alle “figure materne nei romanzi di Giulia Caminito”