Ciao! Qui Matteo Belluti e questa è Libri belli belli belli belli in modo assurdo. Il tema portante di questo numero è la VOCE. La voce della scrittura, che dà forza, credibilità e bellezza a una storia.
La voce di Veronica Raimo è quella che di più mi ha impressionato in questa prima parte di 2022. Del suo memoir Niente di vero ti avevo parlato nel numero scorso e ne parleremo pure stavolta perchè l’ho intervistata. Ah sì, nel frattempo è entrata nella dozzina del Premio Strega. Be’, niente entusiasmi, mi pare veramente il minimo sindacale per questo libro. Prima dell’intervista alla mia nuova scrittrice preferita, un po’ di libri.
Sigla.
Paolo Nori - Sanguina ancora (Mondadori)
Noi parliamo di voci, tutti parlano di guerra, Paolo Nori voleva parlare di Dostoevskij alla Bicocca ma l’Università gli ha bloccato il corso per “motivi di opportunità”. Poi il rettore ha fatto marcia indietro, ma Paolo Nori ha comunque deciso di abbandonare il corso.
Vabbé ormai storia vecchia e arcinota, che ha spinto molti a leggere “Sanguina ancora. L’incredibile storia di Fedor Dostoevskij”, già finalista all’ultimo Campiello. Avevo letto il libro e l’ho ripreso per ricordarmi qualche passo che avevo sottolineato. Come questo: "è un periodo nel quale, come in tutti i periodi, succedon delle cose stranissime, intorno a me; per esempio c'è della gente che conosco, gente che ha lavorato nell'editoria, e che ha scritto è pubblicato anche dei libri, che dicon che i libri, loro, son degli anni che hanno smesso di leggerli, e io, a me, questa cosa di gente colta, intelligente, che non leggono più libri, che magari li ascoltano negli audiolibri, o che li guardano nelle serie televisive, mi fa venire in mente quello studente che, al suo professore che gli chiedeva se aveva letto “Bartleby lo scrivano”, aveva risposto «Non di persona»”.
Secondo me questo non è il più ispirato tra i romanzi di Paolo Nori (a parte il fatto che non so come si possa definire romanzo, qualcuno lo ha fatto, mah), sicuramente è quello che ha ottenuto più attenzioni e risalto. Non il più bello, semmai il più importante soprattutto in questo momento. In un momento in cui è importantissimo parlare di Dostoevskij e degli altri grandi autori russi. Seguendo Paolo Nori si impara a conoscere e amare un sacco di letteratura russa passata e presente. E visto che parliamo di voci, quella di Paolo Nori è di sicuro la più riconoscibile nel panorama italiano. Basta leggere uno qualunque dei suoi libri, oppure dei suoi articoli o dei suoi post su Facebook, e poi imparerai a riconoscerla al volo. Di quale altro autore italiano si può dire lo stesso?
Gianmarco Perale - Le cose di Benni (Rizzoli)
Un altro che ha trovato una voce unica. Questo romanzo uscito nel lontano 2021 è la storia di un amore morboso scritta usando quasi interamente dialoghi. E il bello è che le poche parti affidate al narratore non servono mai a spiegare situazioni, o a descrivere personaggi, o a fare tutte quelle cose importanti che sarebbe difficilissimo esprimere attraverso dialoghi.
No.
Le parti narrate Giamarco Perale le usa quasi esclusivamente per descrivere tic dei personaggi, per dire che bevono un bicchiere d’acqua, o si allacciano le scarpe o raccolgono un calzino. Insomma non servono alla struttura portante, ma solo a dettare il ritmo della storia.
“Come una sceneggiatura o un testo teatrale” dirai tu.
No, perchè non serve un attore a dare carattere e credibilità al personaggio. Ci pensano le parole dette e le parole non dette, le domande assillanti e le mancate risposte. E’ così che Perale riesce a dare corpo e anima ai suoi personaggi. E guarda che è difficile eh. Così come è difficile che una struttura del genere si regga fino alla fine senza risultare pallosa.
Libro godibilissimo, interessante, scorrevole, bello.
Vincenzo Latronico - Le perfezioni (Bompiani)
E se Perale usa esclusivamente dialoghi, ecco invece un breve romanzo che non ha una virgoletta manco a pagarla. Latronico prende a prestito la voce di Perec e riscrive “Le cose” attualizzandolo ai giorni nostri. Qui i protagonisti sono due giovani creativi italiani di stanza a Berlino che cercano di dare un senso alla loro esistenza e al loro amore. Rispetto al capolavoro di Perec c’è forse meno ironia, ma in compenso la sensazione è quella di osservare un acquario ultra-contemporaneo nel quale, occhio, potremmo scorgere noi stessi.
Alessandro Gori - Confessioni di una coppia scambista al figlio morente (Rizzoli Lizard)
A proposito di voci facilmente riconoscibili, ecco il ritorno in libreria di Alessandro Gori, noto ai più come Lo Sgargabonzi. Per approcciarsi ai racconti di Gori è importante imparare a riconoscere la sua voce, capire il suo gioco e accettare di entrarci dentro. Tutte le recensioni che lo riguardano cominciano con l’ormai celebre definizione che di lui diede Claudio Giunta su Internazionale: “il migliore scrittore comico italiano”. Eppure Lo Sgargabonzi non ha come obiettivo quello di far ridere, lui al lettore chiede altro: gli chiede semmai di vergognarsi di ciò che lo fa ridere.
Il suo primo libro di racconti (non primo libro in senso assoluto) “Jocelyn uccide ancora” raccoglieva il meglio dei suoi testi brevi scritti in tanti anni ed era talmente perfetto che un po’ avevo paura ad approcciare il secondo: come poteva reggere il confronto? Secondo me era un timore che aveva anche lui. Ora che l’ho letto posso tirare un sospiro di sollievo. Lo Sgargabonzi uccide ancora.
L’incontro con Veronica Raimo inizia con me che per 5 minuti mi spertico in lodi sul suo libro, sulla grazia e la leggerezza con cui riesce a parlare di temi importanti e anche pesanti, sulla bravura con cui nobilita una storia tutto sommato normale, e rende speciale la vita di una giovane donna (cioè sé stessa) che poi, se vai a guardare, non ha fatto la guerra, non ha vinto un premio Nobel, non è stata su Marte.
Poi mi zittisco un attimo per capire se nel frattempo Veronica ha messo giù il telefono, ma incredibilmente è ancora lì. A quel punto cerco di darmi una regolata e recuperare il tono del bravo giornalista, ma la prima domanda farebbe vergognare pure Fabio Fazio: Ti rendevi conto, mentre lo scrivevi, che stavi scrivendo un libro importante?
«No, anzi a dire la verità ero piuttosto scettica. La mia in fondo è una storia come tante, mentre lo scrivevo mi veniva da chiedermi a chi sarebbe potuta interessare. Poi subito dopo l’uscita mi sono resa conto che in effetti la risposta era buona, le vendite sono state da subito incoraggianti, il passaparola ha funzionato. Non mi so neppure spiegare come funzionino certe dinamiche. I miei libri precedenti avevano avuto tutti delle buone critiche eppure non avevano avuto chissà quale successo».
Di sicuro c’è stata una spinta iniziale grazie alla famosa fascetta di Zerocalcare, il resto però, molto semplicemente, lo si deve al fatto che il libro è piaciuto a chi lo ha letto.
«Alcune parti di questo libro le ho riprese da cose che avevo scritto in passato per il teatro e che avevo visto rappresentate. Quindi avevo già avuto un riscontro positivo, il pubblico aveva apprezzato».
Io non l’ho comprato per la fascetta di Zerocalcare, ma dopo aver letto l’accostamento a Fleabag, che per me è una serie tv epocale. Phoebe Waller-Bridge è un’altra di quelle che se la intervistassi verrebbe fuori un’intervista tutta di complimenti. Comunque: Fleabag è stata per te un riferimento mentre scrivevi?
«Non l’avevo neppure vista. L’ho guardata dopo la prima stesura, perchè mi hanno fatto notare una qualche assonanza. E dopo averla vista mi sono spaventata pure di più, perchè lì c’è una drammaturgia, una storia che cresce nel tempo, uno sviluppo, dei colpi di scena. Invece il mio libro è frammentario, praticamente senza trama».
In poche parole: Niente di vero è un memoir, il racconto della tua vita finora, della tua famiglia, dei tuoi amori, della tua carriera, dei tuoi incontri, delle città, del lavoro, dei successi e dei fallimenti. La domanda che ti fanno probabilmente tutti quelli che hanno letto il libro: come hanno reagito tua madre e tuo fratello, che sono tra i personaggi principali e più esilaranti del libro?
«Mio fratello aveva già letto il libro prima dell’uscita, ha seguito tutta la lavorazione ed è stato di grande sostegno. Mia madre invece dice di non averlo ancora letto. Non so se sia vero, però insomma per il momento sono sana e salva. Naturalmente mi sono preoccupata di salvaguardare le persone care che sono finite nel libro, sulle quali mi ero concessa una certa ironia, quindi tutte erano state in qualche modo avvisate e tutte si sono fidate di me».
Un libro molto diverso dai tuoi precedenti. Una voce meno “algida” come qualcuno definì la tua scrittura in passato, meno ostile, più accessibile. Pensi che ora questa specie di autofiction, questa modalità di affrontare i temi parlando di te stessa, che in qualche modo ti accomuna ad esempio al lavoro che fa Zerocalcare, lui con i fumetti e te con le parole, insomma pensi che ora continuerai con questo registro?
«Non credo. Ad essere onesta in questo momento non ho idea di come sarà il prossimo libro, ma sono certa che sarà diverso da questo. Anche perchè avrei paura di essere forzata e di fare qualcosa di innaturale».
Verso la fine del libro sembri rimettere in discussione tutta la storia che hai raccontato fin lì appellandoti alla fallacia della memoria. “La maggior parte dei ricordi ci abbandona senza che nemmeno ce ne accorgiamo; per quanto riguarda i restanti, siamo noi a rifilarli di nascosto, a spacciarli in giro, a promuoverli con zelo, venditori porta a porta, imbonitori, in cerca di qualcuno da abbindolare che si abboni alla nostra storia. Scontata, a metà prezzo. La memoria per me è come il gioco dei dadi che facevo da piccola, si tratta solo di decidere se sia inutile o truccato”.
«Tra le varie retoriche che provo a demolire in questo libro c’è quella della sacralità dei ricordi. Se ci pensi la memoria è uno strumento totalmente inaffidabile, quando raccontiamo noi stessi facciamo sempre e comunque una rappresentazione, anche nella scelta di ciò che riportiamo e ciò che invece decidiamo di omettere».
Infatti della verità dici: “Nella mia famiglia ognuno ha il proprio modo di sabotare la memoria per tornaconto personale. abbiamo sempre manipolato la verità come se fosse un esercizio di stile, l’espressione più completa della nostra identità”. Però, chissà perchè, la verità è così importante per chi legge una storia. Insomma se il tuo libro fosse stato scritto per esempio in terza persona, o dichiarando che la storia era inventata di sana pianta, non so se avrebbe avuto la stessa presa sul lettore. Ci piace così tanto frugare nella vita delle persone?
«Probabilmente sì, ma forse più che sapere se un racconto sia vero o no, quello che conta è la fiducia che si dà alla voce che racconta. E per fortuna la voce di questo libro sembra aver trovato la strada per farsi credere e apprezzare».
Veniamo ai tuoi consigli per i lettori di Libri Belli. Il libro più bello letto nell’ultimo anno?
«Una rilettura: “L’ultima estate in città” di Gianfranco Calligarich»
Un libro che ha ispirato la scrittura di Niente di vero
«Facile dire “Lamento di Portnoy” che è l’accostamento più immediato. Ma dico anche i libri di David Sedaris»
Il libro più bello di tuo fratello Christian Raimo.
«Il peso della grazia»
Il libro che vorresti vedere nella dozzina dello Strega.
«Ex aequo: Spatriati di Mario Desiati e Stradario aggiornato di tutti i miei baci di Daniela Ranieri1»
Grazie Veronica, viva le voci che si fanno sempre riconoscere.
Su Wired una selezione di 20 romanzi fantasy italiani che meritano di essere letti
Sul Post la storia del libro-enigma che è diventato un caso grazie a TikTok e che ora è disponibile anche in italiano.
Infornata di nuove uscite per bambini consigliate da Il Libraio.
Fabio Volo, Benedetta Parodi e tutti gli altri autori di Adelphighetti, la casa editrice più phighetta del momento: ne scrive Il Domani
Ed è tutto, voglio essere il primo a dirti: se-non-ci-rivediamo-prima-buona-pasqua.
L’intervista è precedente all’annuncio dei 12 finalisti, ma entrambi i libri citati da Veronica sono entrati nella dozzina. Qui la dozzina completa: https://premiostrega.it/PS/i-dodici-libri-candidati-alla-lxxvi-edizione-del-premio-strega/